Che cos’è il cristianesimo?

I risultati della sesta Ricerca sull’Appartenenza Ecclesiale (Kirchenmitgliedschatsuntersuchung, in sigla KMU) in Germania hanno suscitato un’accesissima discussione. La cosa potrebbe stupire, visto che il dato principale non è certo nuovo: crollo verticale del numero dei membri della chiesa cattolica e di quella evangelica. Addirittura, una percentuale consistente di quanti risultano ancora appartenere a una chiesa, e pagano le relative tasse (che in Germania costituiscono il canale di finanziamento delle due chiese maggiori), esprime un marcato disinteresse per la dimensione della fede e dunque è praticamente sicuro che gli elenchi ufficiali dimagriranno ancora. Solo il 13% della popolazione tedesca si dichiara religiosamente impegnato: di questo residuo, il 53 per cento è cattolico e il 42% protestante. Ma non sono nemmeno questi i dati che fanno discutere: in effetti, sono tali, piuttosto, da togliere il fiato. E allora?

Allora, il dibattito riguarda un ulteriore esito dell’inchiesta: sembra cioè che non solo l’appartenenza ecclesiale, bensì la «religione» in quanto tale, intesa come interesse per la dimensione della trascendenza, sia in caduta libera. La famosa secolarizzazione, insomma, lungi dall’essere tramontata, come sostengono i profeti e le profetesse della «postsecolarità», sarebbe, almeno in Europa, in impetuosa avanzata.

Tale diagnosi è tuttavia contestata con veemenza da quanti sostengono che la ricerca utilizza i termini «religione» e «religiosità» in senso troppo angusto ed ecclesiastico. Non è vero, affermano costoro, che la religione regredisce: essa modifica, invece, le proprie forme di manifestazione. Se prima si esprimeva andando in chiesa, oggi può farlo mediante una passeggiata nel bosco alla ricerca dell’armonia cosmica o di un semplice star bene con sé stessi, oppure nel sorseggiare una tisana in una stanza illuminata da candele e profumata mediante qualche essenza. Alla teoria della secolarizzazione si oppone quella dell’«individualizzazione» delle modalità espressive della religione.

La domanda, però, resta: come mai una discussione socio-religiosa, per quanto interessante, agita gli animi? Perché ognuna delle due tesi determina un’idea di riforma della chiesa, almeno di quella evangelica (quella cattolica celebra sinodi ma, com’è noto, decide in altra sede).

Semplificando, la situazione è la seguente: chi sostiene la tesi della secolarizzazione immagina per il futuro una chiesa fortemente minoritaria, più consapevole, in grado di rendere una testimonianza in controtendenza nella società. Dunque formazione, catechesi, enfasi sulla liturgia, per quanto rinnovata, impegno sociale eccetera. Chi, invece, sostiene la teoria dell’individualizzazione vorrebbe una chiesa che sappia interpretare e custodire la «nuova» religiosità: se la predicazione non comunica più, passiamo alla seduta di autocoscienza, alla composizione di poesie in gruppo, magari anche al canto gregoriano, inteso in senso terapeutico. Qualcuno ha osservato che la fede cristiana e i suoi contenuti sono definiti dalla Scrittura, così com’è letta nella chiesa, e non dalle inchieste sociologiche, ma altri obiettano che questo è un modo di ragionare dottrinario e di solito lo qualificano come «ennesima riedizione della teologia dialettica» (cioè derivata da Karl Barth) o simili. A dire il vero, un tipo come Adolf von Harnack, non esattamente «barthiano», poteva iniziare un suo fortunato libretto con la domanda: «Che cos’è [e dunque: che cosa non è] il cristianesimo?». Ciò però non sembra impressionare i fautori e le fautrici di un cristianesimo «liquido» o addirittura nebulizzato.

Naturalmente, né la teoria della secolarizzazione, né quella dell’individualizzazione sussistono allo stato puro, ognuna di esse non potrà non tener conto di elementi di verità presenti nell’altra e lo stesso vale per la visione della chiesa e della pastorale che ne deriva. Nell’insieme, però, si tratta di una vera e propria alternativa, apparentemente sociologica, ma che in realtà oppone due modi di comprendere la chiesa, la pastorale e, in ultima analisi, la fede stessa.

Fulvio Ferrario

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